Come di consueto nella solennità dell’Epifania, il Vescovo mons. Francesco Lambiasi ha presieduto in Basilica Cattedrale la Messa dei Popoli, tradizione nata nel 1966. La Messa è stata preparata dalla Caritas Diocesana e dalla Migrantes diocesana, con momenti vissuti nelle varie lingue.La liturgia – introdotta da un saluto espresso in italiano, inglese, rumeno e spagnolo – è stata accompagnata dal coro multietnico, diretto da Simonetta Guidi, con la partecipazione di immigrati di varie nazionalità, che hanno eseguito canti e intenzioni di preghiere di vari Paesi: in cinese, rumeno, ucraino e filippino. Una famiglia venezuelana durante la processione offertoriale ha portato all’altare pane vino e acqua, mentre altri alimenti e oggetti tipici dei vari Paesi sono stati consegnati da rappresentanti del Perù, Cina, Filippine, Ucraina. Le ragazze di nazionalità filippina hanno eseguito una danza, sempre al momento dell’offertorio, accompagnando all’altare Gesù Bambino. La Confraternita peruviana preente a Rimini ha consegnato l’immagine de Nuestro Signor de Los Milagros.
Al termine della celebrazione, dopo il tradizionale bacio alla statua di Gesù Bambino, è seguita una cena nei locali della Diocesi con specialità tipiche preparate dalle stesse comunità di immigrati e dalla Caritas.
La festa dell’Epifania, spiega la Diocesi, è particolarmente indicata per la celebrazione della Messa dei Popoli: la festa ricorda, infatti, l’adorazione di Gesù Cristo da parte dei Magi, sapienti stranieri, venuti dall’oriente lontano per conoscere e onorare il Bambino Gesù. I Magi sono la primizia degli uomini di tutti i popoli che incontrano Cristo e lo seguono come Dio e Signore.
“La Messa dei Popoli e i Presepi dal Mondo – commenta Mario Galasso, direttore Caritas diocesana – sono due occasioni che camminano di pari passo per esprimere la festa e la fede, ciascuno nella propria cultura. Ma questi nostri fratelli arrivati da lontano ci ricordano anche il dramma di tanti immigrati, costretti a fuggire dal loro paese in cerca di pace, di lavoro e di una vita dignitosa”.
Lo “straniero” è il messaggero di Dio, che sorprende e rompe la regolarità e la logica della vita quotidiana, portando vicino chi è lontano – si legge in una nota della Diocesi – l’amore verso lo straniero e verso il povero non è solo una esigenza sociale o etica o morale, ma è la riproduzione del modo di agire di Dio: “Ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore tuo Dio: perciò ti comando di fare questa cosa. (Dt 17,18)
Il Vescovo di Rimini in merito cita un racconto. “Un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi discepoli da che cosa si potesse riconoscere il momento preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno: “Forse quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora”. “No”, disse il rabbino. “Quando si distingue un albero di datteri da un albero di fichi”. “No”, disse il rabbino. “Ma quando allora?” domandarono i discepoli. Il rabbino rispose: “Quando guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Altrimenti è ancora notte nel tuo cuore”.
L’omelia del Vescovo
Epifania, duemila anni fa: i vicini si allontanano, ma i lontani si avvicinano. I vicini sono i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo di Gerusalemme: sono i massimi specialisti nell’arte di scrutare le Scritture a menadito. E in effetti nei sacri rotoli sanno rintracciare il navigatore che indica con esattezza il luogo dove doveva nascere il Messia: è Betlemme, distante da Gerusalemme appena una dozzina di kilometri. Più vicini di così?! Ma fanno come i cartelli stradali: magari ti sanno indicare con precisione la direzione e la distanza dalla meta, ma loro non si spostano neppure di un millimetro. I lontani invece sono i Magi: non solo per la distanza geografica, ma anche per il divario culturale e per la diversità di religione: rispetto agli ebrei, rigorosamente monoteisti, loro adorano gli astri del cielo. Incredibilmente, alla fine, i Magi, da lontani si fanno vicini, e i vicini, come sacerdoti e scribi, diventano lontani.
- 1. Epifania, oggi: i lontani si avvicinano, ma i vicini si allontanano? I vicini, che si autodefiniscono tali, si ritengono privilegiati per essere quelli della prima ora, e si pensano avvantaggiati per il solo fatto di sapersi nati e cresciuti nell’orbita della pratica cristiana. Sono appunto i cosiddetti praticanti. Si sentono già a casa, e non devono intraprendere alcun viaggio. Si percepiscono così vicini da illudersi di essere come nati nel presepe. Ma è un presepe low cost. E’ fatto di ossequi formali a regole minute e meticolose, ed espresso da una puntigliosa assistenza a cerimonie e devozioni. E’ il presepe segnato dall’adesione a un pacchetto di norme e convenzioni esteriori, magari patinate di sacralità. Al punto da sentirsi – i praticanti – immancabilmente ‘arrivati’ e da ritenersi in credito con Dio. I lontani, invece, si portano in cuore un’ansia di ricerca, un’attesa pungente, una struggente nostalgia. Incespicano forse nel buio, ma cercano una stella, quella che Dio non nega a nessuno. E’ la sua traccia misericordiosa, il palpito del suo instancabile richiamo. E così bypassano ogni resistenza e decidono di partire alla ricerca del Messia Salvatore.
La nostra vita è un po’ come il viaggio dei Magi. Straordinari personaggi, questi Magi! Capaci di scoprire la stella e di incamminarsi sulla sua scia sfavillante. Audaci nell’osare di uscire dal trantran di una vita piatta e comodona, dalle loro sicurezze inossidabili, dalle loro ammuffite abitudini… Ma noi non assomigliamo, forse, agli scribi e ai rabbi impettiti dell’antico Israele? Ci illudiamo di essere autentici discepoli, senza portare la gioia della stella a chi non riesce a vederla? Pensiamo di poter essere cristiani come cinquanta anni fa? Crediamo di essere Chiesa per il solo fatto di andare in chiesa nei giorni di precetto? Continuiamo, forse, a pensare la comunità cristiana come un affare di preti, frati e monache? Stiamo sempre lì a lamentarci che ragazzi e giovani non vengono in chiesa, o invece offriamo loro motivi invitanti e ragioni attraenti per (farli) venire? Quando la smettiamo di recriminare che oggi non c’è fede? Piuttosto, ci impegniamo ad annunciare il Vangelo?
- 2. Alcuni tra i cosiddetti lontani, quando si sono – o sono stati – avvicinati, hanno fatto una esperienza, che si potrebbe rendere con questa ‘confessione’. “Ho cercato Dio, e non l’ho trovato. Ho cercato il mio fratello, e non l’ho trovato. Ho cercato il mio io, e non l’ho trovato. Ho trovato Gesù, e ho ritrovato tutt’e tre: il mio Dio, il mio fratello, il mio io”. L’appuntamento con Dio, con il fratello, con il proprio io si compie in Gesù. Ma la domanda si reduplica: e dove è possibile oggi incontrare Gesù? Accenno ai ‘luoghi’ delle tre P: Parola, Pane, Poveri.
Il primo appuntamento Gesù ce lo fissa con la sua parola, la sacra Bibbia. Come è avvenuto per i Magi: nelle Scritture di Israele hanno ritrovato la stella che ha indicato la meta precisa del loro aspro cammino. La Bibbia, per la fede dei nostri fratelli maggiori, gli ebrei, e per noi cristiani, è il dono incalcolabile, che Dio ci ha messo nelle nostre fragili mani e che richiede in noi umile e stupita venerazione. In un salmo l’esistenza dell’uomo viene espressa nel simbolo di una strada avvolta nelle tenebre. Ecco, però, una lampada che scintilla: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119). Ma perché la Bibbia si trasformi in una lucerna che illumina il buio e tortuoso sentiero della vita, “non basta possederla, bisogna anche leggerla; non basta leggerla, bisogna anche comprenderla; non basta comprenderla, bisogna anche viverla”. Come vorrei, fratelli e sorelle, che la parola di Dio diventasse davvero la stella polare che orienta l’avventuroso andare della nostra Chiesa, il viatico personale per portare il bagaglio degli affanni e della fatiche di ogni giorno, il fuoco che ci fa ardere il cuore, la pioggia sul terreno arido e stepposo della nostra non facile esistenza.
Un secondo luogo di incontro con Gesù, anzi con il suo stesso corpo, è l’eucaristia. La domenica noi partecipiamo alla messa non per dare, ma per ricevere. Trovarci attorno alla mensa del Signore non è una penosa penitenza, ma uno straordinario dono d’amore. E’ la ricarica della nostra vita cristiana, sottoposta a dura prova dal peso della settimana passata e di quella seguente. Senza la messa la nostra vita di discepoli di Gesù comincia a gracchiare come una radio con le pile scariche. E ben presto si spegne.
Il terzo appuntamento Gesù ce lo fissa con il povero. L’autentico stile cristiano comporta che non solo si gridi perché gli altri facciano qualcosa, ma soprattutto che si paghi di persona. Esiste ed esisterà sempre un prossimo che non può aspettare il sospirato miglioramento della società, ma va aiutato subito, con soccorsi anche modesti ma immediati, e con un contatto personale: generoso, discreto, concreto, sempre affettuoso.
Fratelli, Sorelle, Amici, la gloria del Signore brilla su di noi. Lasciamoci rivestire dalla sua luce benefica e amica. Ed ora alzatevi. Professiamo la nostra fede in Gesù, unico Salvatore di tutti.
Redazione Newsrimini